L’estetica incantevole di Ripley
ATTENZIONE: l’articolo contiene spoiler sulla produzione Netflix Ripley Tra le migliori serie tv del 2024 è riuscita a ritagliarsi un posto di rilievo Ripley. Presente in praticamente tutte le nostre classifiche, tra cui anche quella delle migliori serie in assoluto dell’anno, la produzione Netflix non è stata solo una delle più apprezzate, ma pure una… Leggi tutto »L’estetica incantevole di Ripley The post L’estetica incantevole di Ripley appeared first on Hall of Series.
ATTENZIONE: l’articolo contiene spoiler sulla produzione Netflix Ripley
Tra le migliori serie tv del 2024 è riuscita a ritagliarsi un posto di rilievo Ripley. Presente in praticamente tutte le nostre classifiche, tra cui anche quella delle migliori serie in assoluto dell’anno, la produzione Netflix non è stata solo una delle più apprezzate, ma pure una delle più incantevoli e ammalianti. Del 2024, ma pure in generale degli ultimi anni. La piattaforma di Los Gatos ha dimostrato di saperci ancora fare. E lo ha dimostrato alla grandissima, con una produzione audace, coraggiosa e dotata di un’identità fortissima e riconoscibilissima.
Ci sono tanti elementi che ci hanno colpito di Ripley. Tra questi spicca, senza dubbio, l’estetica, che in un’altra classifica di fine anno abbiamo definito incantevole. Ci è sembrato interessante approfondire in solitaria questo concetto, perché se l’adattamento Netflix del celebre romanzo di Patricia Highsmith ha avuto il successo che ha avuto, il merito va pure alla sua cifra estetica, che ha connaturato in maniera indelebile la serie tv. Andiamo, dunque, a soppesare gli elementi che hanno contribuito a definire lo stile di Ripley. Allestendo un racconto che mantenesse il proprio riferimento continuamente sull’eleganza, la finitura e, per l’appunto, l’incanto.
Le ragioni di un racconto in bianco e nero
Il primo, chiarissimo, elemento estetico che balza immediatamente agli occhi approcciandosi alla visione di Ripley è la scelta del bianco e nero. Una decisione che non ha solo delle finalità, appunto, estetiche (comunque predominanti), ma che si accompagna pure a ragioni prettamente narrative. La scelta di questo filtro è volta a cristallizzare il racconto. A collocarlo in una dimensione quasi atemporale, in cui la mancanza di colore riflette quasi un’assenza dello scorrere del tempo. Inteso non tanto come successione narrativa, perché l’azione è sempre ben inquadrata. Ma come collocazione temporale in un preciso momento storico. Che c’è, ma è trascesa dall’azione stessa. Resa assoluta.
È chiaro poi che queste finalità narrative siano una sorta di appendice, del tutto coerente, di una scelta che ha enormi implicazioni estetiche. Il fatto che queste due componenti siano così ben coniugate è un bel valore aggiunto. Il bianco e nero, infatti, esalta la fotografia di Ripley. Contribuisce a costruire quell’identità così marcata che ha reso unica la serie tv di Netflix. Valorizza, inoltre, alcuni aspetti del racconto come i ritmi compassati o ancora, questo è molto interessante, la costruzione della tensione in negativo.
L’assenza è la cifra stilistica di Ripley
Cosa intendiamo per costruzione in negativo? Ci sembra che in Ripley, che in fin dei conti rimane formalmente un thriller, la tensione venga costruita tramite l’assenza. I passaggi più tesi si consumano tramite lunghi silenzi. Sguardi profondi che occupano spazi narrativi profondamente dilatati. L’azione è quasi ridotta all’osso, focalizzata essenzialmente sulla fisicità e sull’espressività dei personaggi. Tutta questa assenza, dunque, si coniuga alla perfezione con l’assenza principale: quella del colore.
Molto calzante, a conclusione di tutto questo discorso, è la scelta di affidare il ruolo principale ad Andrew Scott. L’attore si è dimostrato capacissimo di calarsi in questa assenza, affidando la caratterizzazione delle mille sfumature proprie del suo personaggio alla gestualità e all’espressività. Senza grandi dialoghi. Senza scene adrenaliniche. Senza ritmi tambureggianti e opprimenti, Ripley si fa comunque grande thriller. Si costruisce in sottrazione, svuotandosi man mano di ogni orpello estetico, andando a scarnificare la propria natura fino a raggiungere un primigenio stato di incantevole naturalezza, che si riflette proprio nella sua, tanto semplice quanto complessa, cifra stilistica improntata sull’assenza.
L’ambientazione italiana di Ripley
Il filtro in bianco e nero di Ripley esalta un altro aspetto, capace di far puntualmente impazzire gli americani, irrimediabilmente innamorati di una certa resa estetica dell’Italia. Gli anni ’60 (ricordiamolo, sospesi quasi nel tempo) sono la cornice giusta per realizzare quell’Italia plasticosa che tanto va di moda oltreoceano. Una terra di irrefrenabile bellezza e di spiccata artificiosità. L’assenza di colore esalta questo tratto idealizzato del nostro paese, confezionando un luogo da sogno come Atrani che finisce per essere il perfetto contraltare per gli inganni di Tom Ripley.
Anche qui, non possiamo non farci incantare dalle scelte estetiche della serie. D’altronde, l’obiettivo conclamato del racconto è proprio quello. Quella tensione che, come abbiamo detto, si costruisce per assenza, si alimenta proprio dell’opposizione tra il fascino esteriore e il vizio interiore. Un personaggio moralmente marcio come Tom Ripley viene calato in una cornice bellissima, volta a ripulirlo da qualsiasi bruttura. Quando la violenza fa capolino in questo mondo incantato ci colpisce con forza maggiore, perché ci sembra profondamente sbagliata e fuori luogo. Qui sta un altro notevole successo della serie, che ancora una volta declina in modo unico un thriller che aborra ogni stortura estetica, ma che non lesina la violenza presentata col più elegante degli abiti da sera.
L’inganno dell’arte
Nel parlare dell’estetica di Ripley non possiamo, infine, non sottolineare proprio l’eleganza che pretende di assumere il racconto. Ai panorami mozzafiato della Penisola si accompagna il trionfo d’arte (specialmente i quadri di Caravaggio) di cui si circonda il protagonista. Questa ricchezza artistica crea un senso di ambiguità, perché in fondo stiamo pur sempre assistendo alla storia di un truffatore e assassino, pure se pretende di passare per il più raffinato degli esteti. C’è una volontà ingannatoria in tutto ciò. Quasi metanarrativa.
Anche noi spettatori, infatti, finiamo nella trappola di Ripley. Rischiamo di essere ingannati dall’eleganza del racconto. Di essere ammaliati dalla bellezza che circonda il protagonista. L’estetica incantevole di Ripley ci consegna un incantevole truffatore. E la serie si fa addirittura metafora del suo personaggio principale. Vuole ingannare gli spettatori. Vuole farli credere al sicuro in un mondo di bellezza, classe ed eleganza. Però, e qui sta il trionfo del thriller, quella bellezza, quella classe e quell’eleganza sono solo un velo che intende celare la dilagante violenza che caratterizza l’essere umano e il mondo che lui stesso sporca col suo egoismo.
Ripley è stata davvero tante cose (e qui vi parliamo dei 5 momenti in cui l’ha dimostrato). Una delle migliori serie del 2024, sicuramente. Una delle più interessanti produzioni degli ultimi anni, altrettanto sicuramente. È stata, però, soprattutto un trionfo estetico. Un racconto capace di lavorare, come in pochissimi altri casi, sulla propria forma, rendendola essenza stessa della narrazione. Ci ricorderemo a lungo dell’estetica incantevole di Ripley, ne siamo sicuri. Come ci ricorderemo a lungo di questa serie tv unica, destinata a far parlare ancora, tantissimo, di se.
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