L’esperienza di Silo e la bellezza (in via d’estinzione) della narrazione “lenta”
Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler sulla seconda stagione di Silo. Il compito di chi deve scrivere la seconda stagione di una serie tv di grande successo è molto complesso. Difficile rispondere alle aspettative, ancora più difficile superarsi. Se poi si parla di una serie tv ambiziosissima, prodotta e distribuita da… Leggi tutto »L’esperienza di Silo e la bellezza (in via d’estinzione) della narrazione “lenta” The post L’esperienza di Silo e la bellezza (in via d’estinzione) della narrazione “lenta” appeared first on Hall of Series.
Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler sulla seconda stagione di Silo.
Il compito di chi deve scrivere la seconda stagione di una serie tv di grande successo è molto complesso. Difficile rispondere alle aspettative, ancora più difficile superarsi. Se poi si parla di una serie tv ambiziosissima, prodotta e distribuita da un network che sta scommettendo tutto sulla “tv di qualità” in un’era in cui i prodotti generalisti hanno riassunto una centralità totale, l’impegno diventa ancora più gravoso. Ne sa qualcosa, tra gli altri, Graham Yost, ideatore della serie tv Silo, tratta dall’omonimo (e fortunatissimo) ciclo di romanzi di Hugh Howey. La prima stagione aveva colpito tutti: molti critici l’avevano inserita tra le produzioni più significative degli ultimi anni, e anche noi ci abbiamo messo del nostro con recensioni e analisi molto generose.
Inevitabili, a dirla tutta. Ambientata in un futuro post-apocalittico nel quale una comunità di persone si ritrova a dover sopravvivere sottoterra all’interno di strutture denominate, per l’appunto, “silo”, la serie tv fantascientifica aveva occupato da subito un posto speciale nel cuore di chi avesse deciso di dare un’opportunità a una serie tv che si era presentata con grandi premesse. Detto, fatto: Silo aveva portato a casa un’opening season d’altissimo profilo, portandola a essere inserita tra i riferimenti assoluti del futuro televisivo.
Apple Tv+, dal canto suo, ha dato grandissima fiducia al progetto: all’investimento ingente era seguito un rinnovo fulmineo per la seconda stagione, e poi un successivo doppio rinnovo che offre agli abbonati la certezza di una conclusione naturale dopo quattro stagioni. Oro che cola, ai nostri giorni.
Buona parte del pubblico, dal canto suo, ha premiato l’operazione: Silo, rilasciata settimanalmente (e meno male, vista la natura della serie) è da mesi la serie tv più vista sulla piattaforma.
Nonostante ciò, la seconda stagione non è piaciuta a tutti: fisiologico, ma ci sono alcune considerazioni da fare a riguardo. Come testimoniano i numerosissimi commenti letti sui social nelle scorse ore (ma anche sulla nostra pagina Facebook, visto che abbiamo recensito settimanalmente Silo 2), una parte del pubblico ha apprezzato la seconda stagione meno della prima. Con una costante che caratterizza gran parte delle opinioni popolari: pur essendo riconosciuti universalmente gli ottimi standard qualitativi della serie, confermati anche dallo straordinario finale di stagione, secondo una percentuale significativa di commentatori sarebbe stata “lenta”.
È vero? Sì: la seconda stagione di Silo è lenta. A tratti, lentissima. Persino frustrante, in alcuni specifici momenti. È un problema? Secondo chi vi sta scrivendo, no. Affatto. Al contrario, la “lentezza” è un valore che ha arricchito gli scenari narrativi ed espressivi della serie tv, portandola a fare un ulteriore salto di qualità.
Quello che stiamo per sottolineare a proposito della seconda stagione di Silo era già stato detto, alcuni mesi fa, per una delle serie tv più controverse del 2024 televisivo: House of the Dragon. Ne parlammo diffusamente nella recensione globale della seconda stagione, ma anche nella classifica delle migliori serie tv dell’anno, in cui la serie occupò un posto di rilievo che fu piuttosto divisivo. Con una sottolineatura fondamentale: c’è modo e modo per essere lenti. C’è chi è lento perché non si capisce dove voglia andare a parare: gira intorno alle trame centrali con un esasperante attendismo che “allunga il brodo”, scivolando nel terreno dei filler con uno scarso controllo della narrazione. Ecco, quella forma di lentezza è deleteria: non ha una funzione, se non quella di spremere un franchise con soluzioni più o meno riuscite. E in gran parte dei casi, penalizza il racconto invece di arricchirlo.
In questo caso, però, parliamo di tutt’altro. La seconda stagione di Silo è molto più lenta della prima, ma non presenta nessuno dei limiti strutturali che abbiano definito per la prima accezione del termine.
Silo, al contrario, ha fatto una scelta di campo decisa. Dopo averci regalato una prima stagione in cui il ritmo vorticoso si era combinato perfettamente con lo spessore e la profondità del racconto, la seconda asseconda alcuni imprescindibili passaggi narrativi – più cadenzati – per valorizzare ancora di più gli scenari a cui andremo incontro nelle prossime stagioni. Scenari che includono un ampliamento notevole degli orizzonti, ma anche di personaggi intrisi di una forte intensità emotiva e di un rimarcabile dinamismo. Si valorizzano, così, gli intrecci sociali dal sapore orwelliano, gli equilibri tra i character principali e le motivazioni di ognuno, qui costruiti e rimarcati con la cura di dettagli psicologici ed esistenziali che li rendono ancora più vivi e reali. Un caleidoscopio di situazioni e personaggi in movimento costante verso l’ignoto si schiudono così dentro una narrazione densa e imprevedibile.
La seconda stagione di Silo, claustrofobica e ancora più ricca di suspence e misteri rispetto alla prima, capovolge costantemente i fronti delle alleanze, le relazioni tra i protagonisti, le informazioni che li portano ad agire in una direzione e le evoluzioni che li spingono ad agire con modalità che sarebbero sembrate assurde pochi momenti prima. E lo fa, soprattutto, senza mai scoprire il fianco a un sensazionalismo fine a sé: Silo ha dalla sua la forza di un racconto costruito tassello dopo tassello, portandoci così fuori dalla “caverna di Platone” attraverso le esperienze scioccanti di Juliette Nichols e di tutti i componenti dello scacchiere. Le domande chiave trovano sempre una risposta puntuale, portando con sé nuovi quesiti ancora più intricati. Quesiti che superano, talvolta, gli orizzonti dell’opera madre.
Le ultime due puntate, dal canto loro, ripagano l’attesa del pubblico più insoddisfatto.
Il season finale, in particolare, mette in scena con grande personalità le conseguenze della ribellione all’interno del Silo 18, dando parallelamente una degna chiusura all’arco narrativo stagionale di Juliette, tornata nel Silo d’origine dopo il lungo intervallo nel Silo limitrofo. Due puntate dense d’azione e di colpi di scena, la cui forza si esprime soprattutto grazie all’attenta costruzione sviluppata in precedenza. Una scelta non scontata da parte degli autori, visto che non sarebbe stato impossibile coprire degnamente le trame del primo libro in una sola stagione. Un investimento doveroso, da ogni punto di vista.
La prospettiva narrativa, tuttavia, prescinde dalla necessità di dare in pasto gli sviluppi più appariscenti. E predilige l’idea di dare grande spessore ai quesiti che la serie pone e si pone.
Che natura ha la nostra realtà? Quanto è tangibile l’orizzonte del nostro mondo? Cosa succede nel momento in cui l’umanità deve riappropriarsi di spazi vitali e conoscenze del tutto disconosciuti dagli interpreti del momento, dopo centinaia di anni? Fin dove si può spingere il confine morale di chi deve garantire l’ordine e il rispetto delle leggi?
E ancora: i limiti dell’intelligenza artificiale, le motivazioni di una causa necessaria attraverso modalità spesso sbagliate, le garanzie e i limiti di una scala sociale fragile e soggetta a regole ancestrali, la funzione dell’eroe e gli oneri delle controparti, il senso di smarrimento di chi capisce di aver sprecato un’intera vita dietro gli spettri di un racconto impostogli da figure agenti nell’ombra, ma anche quello di chi ha vissuto in totale isolamento per oltre trent’anni. Il valore di una memoria alla quale aggrapparsi, nonché di un tempo plasmato e riplasmato da giudici che invocano un ruolo divino (come sottolineato da Veronica Reolon nella bella recensione del season finale).
Al centro e talvolta in disparte, una delle protagoniste più suggestive e complesse della serialità nell’ultimo decennio.
Il suo ardore ai confini del mondo apre le porte a una personalità ricchissima di sfumature dal forte valore umano. Una pioniera nel cielo aperto, manifesto di un popolo in cammino contro il determinismo di un asettico algoritmo: l’autodeterminazione, però, è ancora una chimera. Ma anche uno dei villain più riusciti e sfaccettati, sempre che abbia senso definire così il carismatico Bernard Holland. Il suo senso di disorientamento finale, figlio della presa d’atto di essere un burattino cieco e non un burattinaio necessario, apre le porte del silo e lo riconsegna alle incognite di una comunità soffocata e trascinata dall’inconsapevolezza. Un topo da laboratorio che aveva toccato il cielo con un dito trova così la libertà che non sapeva di non aver mai avuto.
Evitiamo di spingerci oltre (per il momento), ma è fondamentale rendere l’idea di quanto sia vasto l’immaginario tematico di Silo, una concatenazione di eventi e situazioni che generano domande vecchie quanto l’umanità.
Le risposte si esprimono attraverso un timing ideale e propedeutico per dare un senso ancora più esteso alle prossime due stagioni. Si presenteranno all’appuntamento col pubblico con premesse che asseconderanno maggiormente la necessità di immediatezza, ricercata impazientemente da una parte di esso. E combineranno ancora meglio le radicate relazioni tra l’autorialità, i vincoli più istintivi dell’intrattenimento e la volontà di offrire il degno adattamento di un ciclo di romanzi maestoso. La terza stagione, nello specifico, permetterà inoltre di approfondire gli intrecci che hanno portato a tutto ciò, come evocato ampiamente dal criptico flashback che ha chiuso il finale appena andato in onda.
Parte del pubblico, però, ha bisogno d’altro. Al di là del grande livello della scrittura, delle interpretazioni e del comparto tecnico, ha bisogno d’altro. E mostra, in qualche modo, le conseguenze di un’epoca storica nella quale le serie tv si devono adattare sempre più rapidamente alle esigenze di spettatori che ricercano la qualità ma non offrono, spesso, il tempo e lo spazio indispensabili per trovarne la massima espressione. Ne conseguono le valutazioni globali di Silo, non sempre all’altezza delle aspettative.
Giusto per fare un esempio, su IMDb la valutazione complessiva è al momento di 8.1.
Le puntate col voto più alto sono i due season finale (9), mentre solo due delle nove puntate della seconda stagione hanno superato l’8 (8.7, la penultima). L’ottava ha ottenuto un disastroso 6.8 (immeritato, dai). Al momento, la media complessiva arriva appena al 7.5: il giudizio, francamente, non è abbastanza generoso. Lo comprendiamo, ma le nostre valutazioni sono diverse.
Per carità: i gusti sono gusti, il pubblico si sta evolvendo con dinamiche che approfondiremo presto in un articolo dedicato ed è, fino a prova contraria, il giudice ultimo della situazione. Più della critica e degli addetti ai lavori, più di chiunque altro. Non per stabilire quanto una serie tv possa essere più o meno “bella”, ma quanto una serie tv possa funzionare. E nel mondo di oggi è, per fortuna o purtroppo, tutto quello che conta.
La lentezza, allora, assume un valore prezioso da individuare nella valutazione di una serie tv. In fondo, è un po’ come scegliere un’esperienza sensoriale in un ristorante stellato o un pasto lussurioso all’interno di un fast food. Oppure, se preferite, selezionare una corposa birra artigianale da gustare d’inverno o una lager industriale che restituisce sollievo con la calura estiva. Possono essere scelte parimenti gratificanti, ma è importante avere chiari i termini del prodotto e puntare sull’opzione preferita di conseguenza.
Ecco, questo è importante: lo spazio per serie gourmet come Silo è sempre più ristretto e sempre più cercato, apparentemente, da una sezione crescente di pubblico che spera di avere tutto e subito da chi non può (e non deve) dare tutto e subito.
Un paradosso, in termini. Un paradosso che si supera solo col compromesso e con la coerenza, se questa è la tipologia di serie ricercata. E in tal senso, Silo è uno dei migliori compromessi attualmente in circolazione. Con la seconda stagione almeno quanto con la prima, se non di più. Un risultato straordinario per una serie tv fuori dal tempo: una serie tv da golden age, finita “per sbaglio” ai nostri tempi. Non piacerà mai a tutti, ma attendiamo fiduciosi: i cavalli di razza, quelli veri, si vedono soprattutto al traguardo. Ai posteri, allora, l’ardua sentenza.
Antonio Casu
The post L’esperienza di Silo e la bellezza (in via d’estinzione) della narrazione “lenta” appeared first on Hall of Series.
What's Your Reaction?